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Quartiere Santo Stefano

Dalle parole agli atti

Laboratorio teatrale “Catapulte”. Intervista a Tatiana

Foto di Margherita Caprilli per Fondazione Innovazione Urbana

“Ho capito che il gruppo Elettrogeno è il mio luogo. Con loro, mi sento un’attrice”

Tatiana Vitali ha 41 anni, gli occhi vivaci e la risposta pronta di chi ha una forte consapevolezza di sé.

È una delle partecipanti di “Catapulte”, laboratorio sulla disabilità a cura della compagnia teatrale Gruppo Elettrogeno, all’interno del progetto “Dalle parole agli atti – idee per la longevità” coordinato da Auser Bologna: sei laboratori teatrali, uno in ogni quartiere, con sei diverse compagnie teatrali, per mettere in scena idee e buone pratiche per la longevità

“Attraverso il laboratorio “Catapulte” ci si proietta nel futuro attraverso il teatro, per attraversare e trasformare le proprie paure, i pregiudizi, i desideri e sconfinare in un luogo inedito, dando forma ad una narrazione collettivaspiega Martina Palmieri, regista del Gruppo Elettrogeno-. Partecipano persone di ogni età, con diverse predisposizioni sensoriali e motorie e vissuti differenti. Ma qui la disabilità nel teatro assume un altro significato. Un attore è un attore, a prescindere dalla propria condizione. E una catapulta non può funzionare, senza un gruppo di persone“.

Ho preso parte anche io ad uno dei laboratori teatrali, oggi online, di Catapulte, che sta lavorando sulla longevità partendo dalla visione del film Blade Runner. Ci colleghiamo sulla piattaforma Zoom, siamo circa in venti. Ciascuno inizia a raccontare quale forma ha preso il suo corpo, partendo da un’esperienza di immaginazione a cui lavorano da tempo attraverso l’evocazione di immagini e indicazioni specifiche. Poi Martina cita una frase del film e chiede a tutti di concluderla attraverso un’esercizio di improvvisazione.

A margine chiedo a Tatiana di poterci incontrare, sempre su Zoom.

Accanto a lei Martina, ma anche la sua mamma Giuseppina: “sono al fianco di Tatiana perchè come avrà sentito ha difficoltà di linguaggio. Tatiana parla e io ripeto fedelmente quello che dirà”, mi dice.

Tatiana inizia subito a presentarsi, poi chiede a me di fare lo stesso. Capisco subito che non avrà la forma di un’intervista classica, ma di uno scambio. Le racconto della mia indole creativa. Ridiamo tutte insieme, si crea da subito un’energia positiva. Mi risponde che lei lavora proprio con la creatività, che è alla base del suo lavoro.

Tatiana abita a Castel Maggiore, è laureata in Scienze dell’Educazione e lavora come educatrice e animatrice al Centro Documentazione Handicap di Bologna, all’interno del Progetto Calamaio andando nelle scuole e in tutti gli ambiti educativi e formativi a parlare di diversità attraverso la creatività.

Quando aveva 10 anni ha iniziato un percorso personale di accettazione e consapevolezza sulla sua disabilità, anche grazie al quale riesce a svolgere il suo lavoro e mettersi in gioco raccontando la sua esperienza nelle scuole. Tatiana, la sua mamma, il suo papà e due esperti educatori Ganzaroli Francesco e Rita Mastellari (sua educatrice nel percorso degli studi) hanno scritto un libro: “Impossibili possibilità. Intrecci di normalità, disabilità, creatività”. Tre capitoli: nel primo la mamma Giuseppina racconta la sua resilienza, nel secondo il papà spiega come ha modificato oggetti quotidiani in ausili creativi e nel terzo Tatiana racconta la sua vita. All’interno di ogni capitolo i due esperti educatori hanno scritto riflessioni, attraverso molti fari e spunti di avvistamento.

Quali sono le tue passioni? Cosa ti piace fare?

“Mi piace divertirmi con gli amici, il mio lavoro, il teatro e andare a cavallo. Ci sono andata per 25 anni, tutti i martedì, poi poco tempo fa ho smesso perché non mi dava più stimoli positivi, che invece ho trovato nel Gruppo Elettrogeno. Fare teatro mi dà molta carica positiva”

Come hai conosciuto il Gruppo Elettrogeno?

“Ho avuto la fortuna di conoscere il Gruppo Elettrogeno perchè il Centro Documentazione Handicap ha fatto un progetto insieme a loro. C’ero io come educatrice e ho capito subito che era il mio luogo”

 Cosa ti piace di questo gruppo?

“Mi vedono come persona e non come disabile e questo mi piace moltissimo. Il teatro per me è uno spazio di libertà perché mi dà l’opportunità di sognare. Quando gli incontri si potevano fare in presenza, in palestra, ho avuto anche la possibilità di staccarmi dalla carrozzina”

Quali sono i passaggi più difficili in questa formazione teatrale?

“La respirazione, l’improvvisazione, la compostezza. Il gruppo però mi fa sentire partecipe, non mi sento mai sola. Io mi conosco e so di essere una persona che si butta. Siamo tutti diversi e riconosco che non tutti riescono a mettersi così tanto in gioco. Qui ho trovato calma e pazienza, ed è quello che io voglio”

Cosa stai scoprendo?

“Io credo molto in quello che stiamo facendo, credo sia occasione per divertirci, mostrare agli altri quello che facciamo e la trasformazione che avviene in noi in termini di identità artistica. Io quando sono con loro mi sento un’attrice. Sto scoprendo che il mio corpo può fare”

 C’era qualcosa inizialmente che ti faceva paura?

“A dire il vero no, non mi faceva paura niente. Sono stata fortunata fin dall’inizio, sono stata accompagnata nel gruppo come uno di loro e hanno superato la mia difficoltà comunicativa con pazienza. Mi capivano tutti. Quando ho iniziato, nel 2019, era la prima volta che entravo da sola in un nuovo gruppo dove non conoscevo nessuno. Ho detto: ‘Vado da sola’. E non lo lascio più”

 Quanto stai trovando importante la condivisione con gli altri e il loro vissuto, le loro storie, per scoprire qualcosa anche di te?

“La condivisione è stata importante perché durante le improvvisazioni vengono fuori emozioni che poi condividiamo e questo mi fa molto piacere. Mi sento libera di dire quello che provo. E anche adesso che gli incontri avvengono online mi sento libera di esprimere quello che sono e come sono senza paura di essere giudicata. Mi piace lasciarmi andare”

Cosa racconta il corpo, che le parole non riescono a fare?

“Il corpo racconta le emozioni, il calore e molte emozioni interne a livello del cuore, che le parole non sempre riescono ad esprimere. Mi manca però fare teatro in presenza perché mi manca molto il contatto fisico”

Catapulte non come armi ma come mezzo di trasporto temporale verso il futuro attraverso il teatro. Cosa vedi domani?

“Vedo che continuerò a lavorare, a far parte del progetto Il Calamaio, e a fare teatro”

Cosa porterai a casa da questa esperienza?

“Quando sarà finito il progetto sicuramente porterò a casa quello che il gruppo mi lascia a livello di relazione, ma anche la calma e il divertimento. Non lo dimenticherò mai”.

Intervista di Silvia Santachiara