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Scuola di Azioni Collettive

“Sono le comunità ad intercettare bisogni e soluzioni. Noi le supportiamo”. Intervista a Michele d’Alena e Veronica Ceruti

La Scuola di azioni Collettive è partita e accompagnerà 32 progetti ad alto impatto sociale, economico, ambientale e culturale.

Fa parte delle Scuole di Quartiere e nasce come un supporto concreto e inedito a organizzazioni e gruppi che a Bologna, dal basso, rispondono ai bisogni e alle disuguaglianze inasprite dalla crisi, soprattutto in zone ad alta fragilità della città.

Per tutto il 2021 le comunità selezionate dal bando lanciato da Fondazione per l’Innovazione Urbana in collaborazione con il Comune di Bologna, saranno coinvolte in un percorso innovativo di supporto con moduli di formazione, approfondimenti tematici, competenze necessarie e finanziamento. Un percorso finanziato dai fondi PON Metro che ha l’obiettivo di promuovere e dare continuità nel tempo ad esperienze di imprenditorialità sociale e attivismo impegnate nella cura delle persone, dei luoghi e delle comunità, implementando strumenti digitali, sostenibilità ambientale, servizi collaborativi e creatività, con forte relazione al contesto urbano.

Abbiamo raggiunto Michele d’Alena, Coordinatore ufficio Immaginazione Civica di Fondazione Innovazione Urbana e Veronica Ceruti, Direttrice Settore Biblioteche del Comune di Bologna per un confronto e uno scambio sulla visione che ha portato alla nascita della Scuola di Azioni Collettive.

Foto di Margherita Caprilli per Fondazione Innovazione Urbana

Il percorso parte da una premessa importante: andare oltre il singolo progetto e puntare ad una visione urbana. L’immaginazione quindi, è collettiva. Qual è la sfida di questo nuovo approccio?

Ceruti: “È bellissimo che esista una Scuola di Azioni Collettive in un tempo in cui tutto è caratterizzato dall’individualismo, ed è un bene che sia Bologna, la città delle alleanze, del mutualismo, della cooperazione, della socialità, dello stare insieme, a smantellare questa visione. Non è vero che la scuola da soli dà frutti migliori, serve confronto, sapere e conoscere cosa fanno gli altri, incrociare gli interessi. Questo lo sta riscontrando sempre di più anche la Pubblica Amministrazione. Per molto tempo si è lavorato per settori divisi e in territori distinti, mentre oggi quello che sta emergendo con forza è che per rispondere in maniera puntuale ai bisogni, i settori devono parlarsi e la Pubblica Amministrazione deve essere a servizio dei cittadini e dell’associazionismo secondo un principio di sussidiarietà. Per questo anni fa sono nati i team di quartiere e gli uffici rete. Questo è un approccio molto significativo che trova eco nelle pratiche partecipative che la Fondazione Innovazione Urbana porta avanti e che fanno parte del suo Dna, ma che fanno parte anche del tessuto cittadino e che si stanno manifestando in un modo sempre più frequente e sistemico anche all’interno della Pubblica Amministrazione”.

d’Alena: “La scuola di Azioni Collettive parte dalla consapevolezza che dobbiamo favorire le alleanze e creare reti con cittadini che, a loro volta, si alleano tra loro sulla base di visioni comuni. Da tempo stiamo cercando di rinforzare politiche per favorire interventi mirati su aree e comunità fragili con la consapevolezza che servono interventi capaci di mettere insieme Società Civile, Comunità informali, Imprese, Scuole, Istituzioni, Biblioteche e Università. Di fondo c’è un tentativo di riflessione su cosa possono fare le politiche pubbliche in questo momento ma la stessa risposta l’avrei data anche prima della pandemia, perché i Laboratori di Quartiere e le Scuole di Quartiere erano già nate. La direzione è la stessa: cerchiamo di creare sinergie territoriali, favorire connessioni tra realtà. In Collettive abbiamo risorse e un percorso formativo per dare più forza alle competenze delle comunità, delle imprese, delle associazioni, nel creare alleanze, che è un tipico tratto bolognese per cui le azioni si fanno insieme”. 

Quale cambiamento volete generare all’interno del contesto urbano e a quali bisogni risponde, sia individuali che collettivi?

Ceruti: “Il primo appuntamento di Collettive è stato un’emozione. C’erano oltre cento persone in ascolto e ciascuno dei 32 soggetti vincitori si è raccontato in un minuto. È stata una carrellata, anche di ritratti, molto bella. Emergeva in modo potente e diretto la ricchezza della nostra città e l’impegno, la voglia di fare la differenza e di generare cambiamenti. Tutti i progetti che hanno partecipato al bando si sono impegnati sin dalla fase progettuale di scrittura a destinare le risorse ad azioni che avessero ricadute sulla comunità, con generosità e con la volontà di mettersi a disposizione di un bene comune. A me colpisce sempre molto questo e non so se è così in tutte le città. Un altro cambiamento importante riguarda la partecipazione. A Collettive hanno avuto accesso anche soggetti informali, che solo successivamente si costituiranno soggetti giuridici. Un cittadino può quindi fare la differenza, avvicinarsi e dialogare con le Istituzioni. L’ascolto caratterizza le Scuole di Quartiere, ed emerge in modo ancora più forte in Collettive. C’è quindi un cambiamento a livello di fiducia, in se stessi e nelle Istituzioni. Quanto ai bisogni c’è attenzione alla tutela delle minoranze e dei professionisti della cultura, della musica e dello spettacolo dal vivo. Le persone hanno grande capacità di intercettare i nuovi bisogni e di ideare possibili soluzioni. C’è un’idea generale di rigenerazione urbana che passa, parte e trova spinta dalla rigenerazione umana e di comunità”.

d’Alena: “Mi piace pensare che la Scuola di Azioni Collettive nasca grazie alla mappa della fragilità e quindi con dati quantitativi alla mano, dalla lettura dei report dei Laboratori di Quartiere e dall’analisi sulle reti mutualistiche che si sono attivate durante la pandemia, quindi con dati qualitativi. Da queste fonti emerge chiaramente che ci sono fasce della popolazione e zone con alta fragilità e che, per trovare soluzioni ai bisogni, sono fondamentali i progetti che nascono dalla prossimità, dall’essere dentro le dinamiche territoriali.  In questi spazi, il terzo settore si muove in autonomia, ma l’Istituzione deve riconoscerlo e sostenerlo. Credo quindi che il primo indicatore sia quello di aumentare la capacità di collaborazioni formalizzate tra Istituzioni e terzo settore, quindi favorendo convenzioni, patti di collaborazione, bandi, partecipazione a Laboratori di Quartiere. Un altro indicatore è aumentare la qualità della vita: dentro la Scuola di Azioni Collettive ci sono progetti rivolti a persone con disabilità, migranti, persone discriminate sul fronte abitativo, persone lgbtq che hanno difficoltà a fare sport, giovani che non riescono a trovare lavoro, musicisti vittime della pandemia, adolescenti isolati, famiglie in difficoltà. Se Collettive concorresse a facilitare l’accesso alla casa, se creasse percorsi per facilitare le palestre ad offrire dei luoghi sicuri per chi rischia di essere emarginato e così via, potremmo dire di andare verso la giusta direzione, grazie a soluzioni guidate dall’attivismo e sostenute dalle Istituzioni. In questo c’è un riconoscimento dell’intelligenza delle Azioni Collettive che hanno creatività, flessibilità e una capacità di lettura del territorio più veloce delle Istituzioni. Dobbiamo imparare a vedere le Azioni Collettive come sentinelle che operano nella prossimità, per capirle, indirizzarle e renderle continue. Questo è un modo inedito per chi opera nelle Pubbliche Amministrazioni: solitamente le Istituzioni finanziano progetti che vengono portati avanti in autonomia, mentre in Collettive c’è l’idea di accompagnarle e supportarle in un percorso. L’obiettivo è trovare continuamente modi per aumentare gli impatti. Dai primi incontri con i proponenti, abbiamo visto che piuttosto che chiedere più risorse, hanno chiesto competenze, contatti con i Settori del Comune e con altre realtà. Sono molte le cose che le comunità chiedono alle Istituzioni. Un altro indicatore, quindi, potrebbe essere quello di verificare se le Istituzioni rispondono davvero a quello che chiedono le comunità”. 

Perché c’era bisogno di una “Scuola di Azioni Collettive” in città?

Ceruti: “I tempi erano maturi non solo in risposta alla pandemia ma per mettere a frutto al meglio pratiche e processi che abbiamo sperimentato negli ultimi anni attraverso azioni singole e che ora ci sentiamo in grado di condividere e di trasferire ad altri. Nella Scuola vanno quindi a confluire una serie di pratiche come l’ascolto, l’analisi del territorio, la sussidiarietà e l’investimento su progetti e idee che arrivano dai cittadini, che vengono inoltre accompagnati in un percorso formativo volto ad accedere ai bandi di finanziamento a loro riservati. La parte più difficile è indubbiamente quella giuridico amministrativa, quella quindi del mondo del Pon metro, e la Scuola di Azioni Collettive sta portando anche gruppi informali di cittadini ad accedervi e a far parte di un sistema che vogliamo sia accessibile anche in vista della prossima programmazione dei Pon, quella del 2021/2027”.   

d’Alena: “La Scuola di Azioni Collettive offre l’opportunità di superare gli approcci dei vari bandi e l’idea della partecipazione, mettendo a sistema diversi strumenti e dandogli ancora più forza. Dal punto di vista delle comunità, sono pochi i bandi dedicati a progetti nati durante l’emergenza: non si tratta di progetti settoriali, per cultura o mobilità, ma di un approccio trasversale dedicato e riservato al terzo settore che si è attivato con mutuo aiuto per rispondere ai bisogni nati durante la pandemia. Abbiamo potuto mettere in pratica anche dal punto di vista amministrativo quello che abbiamo imparato in questi anni: in Collettive si vede un’evoluzione della capacità amministrativa non così comune. Stiamo cambiando modo di fare, insieme ai settori del Comune e con le comunità”.

Intervista di Silvia Santachiara