“Penso che la periferia non vada cambiata, che non ci sia qualcosa di sbagliato nell’essere periferia. Penso piuttosto si debba cogliere la bellezza che offre. Non c’è tanto da cambiare qualcosa ma da scoprire qualcosa. Questo è quello che secondo me in periferia andrebbe fatto”.
Giacomo Tarsitano ha 21 anni ed è uno dei ragazzi che sta realizzando un cortometraggio per raccontare Casteldebole attraverso le storie di chi lo vive, all’interno del progetto Scatti – Sviluppi Comuni ATTivi, gestito dal consorzio di cooperative sociali “Scu-Ter Scuola-Territorio” con il coordinamento della consorziata C.S.A.P.S.A.2.
L’associazione Caracò diretta da Alessandro Gallo ha costruito invece un percorso formativo, dando la possibilità ai ragazzi di imparare e confrontarsi con esperti del settore Cinema
Giacomo, oltre ad essere studente di Giurisprudenza, fa radio. Si sente.
Parlata brillante e tono di voce sicuro, è uno dei fondatori di Radio CAP, webradio nata tre anni fa alla Barca e che oggi conta una cinquantina di giovani con la passione per la radiofonia e la comunicazione.
Insieme a Giacomo, a partecipare alla realizzazione del cortometraggio, una quindicina di ragazzi, tra cui appunto diversi speaker di Radio CAP.
Il loro corto ha subito tante modifiche a causa dell’evolversi della situazione pandemica. Oggi è un viaggio introspettivo ed esistenziale di narrazione del territorio attraverso episodi e storie che vogliono restituire anche la poesia che c’è dietro ad un semplice palazzo, un muretto, un portico o una scalinata.
Incontro Giacomo e il regista Alessandro Gallo su Meet, per raccontare questa esperienza da due diverse prospettive.
Giacomo, perché un cortometraggio per raccontare Casteldebole?
“Come tutte le idee nate dai ragazzi di Radio CAP, inizialmente abbiamo pensato molto al linguaggio da utilizzare, ovvero se il podcast, che è un linguaggio più diffuso e di cui abbiamo esperienza, oppure un racconto per immagini. Alla fine abbiamo scelto questa seconda alternativa per raccontare il territorio perché ci piaceva approfondire un mezzo con cui avevamo meno confidenza, quindi il Cinema. Ci siamo fatti aiutare dal regista Alessandro Gallo, che si è reso disponibile a costruire un percorso formativo prima che artistico”
Le idee si sono evolute in corrispondenza della pandemia….come sono cambiate rispetto al progetto iniziale?
“All’inizio avevamo idee grandiose, volevamo realizzare una vera e propria fiction. Poi il progetto ha dovuto subire delle modifiche fino ad arrivare ad una forma di narrazione più introspettiva che utilizza il racconto di episodi vissuti dai ragazzi nel quartiere con un percorso di immagini che raccontano il luogo in cui quella esperienza è stata vissuta. Inoltre il luogo stesso viene raccontato attraverso un testo di letteratura classico. Una narrazione che cerca di far uscire dai luoghi quante più emozioni e stimoli andando a creare cortocircuiti nello spettatore che si troverà davanti, ad esempio, un brano dell’Iliade paragonato ad un portico e alla storia di una persona reale che lì, ad esempio, ha lasciato la sua ragazza. Ci sarà quindi una sovrapposizione di narrazioni che speriamo possa incuriosire”.
Adesso in che fase siete del progetto?
“Siamo in fase di riscrittura per poi iniziare a metà marzo le riprese. Io, insieme ad altri due ragazzi, ci siamo occupati della scrittura. Abbiamo scritto quattro sceneggiature”.
Cosa hai imparato fino ad ora da questo percorso?
“Sicuramente ad avere più confidenza con il linguaggio cinematografico e con la realizzazione concreta di un prodotto video, compresa la stesura della sceneggiatura, che mi risulta molto utile anche nel mio percorso radiofonico. Sapere quindi come si scrive un pezzo cinematografico, ma che poi può essere riadattato a pezzo teatrale o di radio dramma. È stato utilissimo, mi sono avvicinato ad un linguaggio che prima mi era distante”.
Quali storie avete deciso di raccontare?
“Storie di vita quotidiana. Vorremmo riportare esperienze simili alle nostre. Noi stessi viviamo il territorio perchè molti ragazzi che stanno partecipando alla realizzazione del cortometraggio vivono a Casteldebole. Vorremmo quindi raccontare episodi e storie che restituiscono un’immagine quanto più fedele del territorio ma anche la poesia che c’è dietro ai luoghi, facendoli parlare attraverso le persone che li hanno conosciuti e li hanno vissuti”.
Cosa ti piace e cosa sarebbe da migliorare, secondo te, di Casteldebole?
“Penso che la periferia non vada cambiata in quanto periferia, che ci sia qualcosa di sbagliato nell’essere periferia. Penso piuttosto si debba cogliere la bellezza che offre. Non c’è tanto da cambiare qualcosa ma da scoprire qualcosa. Questo è quello che secondo me in periferia andrebbe fatto”.
Cosa hai imparato dalla condivisione con gli altri?
“La condivisione di idee creative. Quando ad esempio si va a scrivere una sceneggiatura, di fatto si va a toccare la sensibilità di ogni individuo. Ciascuno aveva un’idea diversa, una sensibilità artistica diversa e anche esigenze emotive da esternare diverse. Fare una sintesi tra queste tre visioni del progetto è stata una importante esperienza di condivisione, che prima non avevo sperimentato in modo così intenso”
Quanto è stato importante far parte del progetto Scatti?
“Noi di Radio CAP abbiamo ricevuto dal progetto Scatti il supporto per costituirci come ente giuridico e abbiamo fatto questo salto. Radio CAP nel corso di questo percorso è diventata un’associazione andando ad integrare anche nuovi membri arrivati grazie a questo progetto laboratoriale. L’obiettivo di Scatti di professionalizzare e creare opportunità per i ragazzi è andata incontro alla nostra esigenza di avere una spalla e un appoggio tecnico nel fare questo salto di qualità che da soli sarebbe stato più complesso svolgere”
Accanto a Giacomo, collegato su Meet, c’è Alessandro Gallo, il regista: “Il percorso è stato stimolante per entrambi. C’è una generazione che sa maneggiare molto bene lo strumento della parola ma soprattutto dell’immagine. Forse dovremmo metterli in condizione di poter far di più”.
Cosa ti ha colpito di più?
“Il fatto che si siano messi subito in gioco e ci abbiano presentato più versioni. Questo anche per noi è stato molto stimolante. Poi siamo tornati da loro per dare consigli su come tarare bene la sceneggiatura anche sui costi di produzione”
Qual è l’aspetto più stimolante del lavorare con questo gruppo?
“A differenza di altri gruppi loro sono stati per noi importanti stimoli perché sono dei secchioni. Gli piace e si vede. Tutti i passaggi li hanno fatti da semi professionisti. Speriamo anche di continuare. Noi come gruppo cerchiamo spesso illustratori, direttori della fotografia, montatori e se qualcuno vorrà continuare dopo questo percorso ne saremmo felici. La classe è di qualità, oltre la metà dei partecipanti sa distinguere un’immagine di qualità da una amatoriale. Anche al di fuori da qualsiasi schema didattico, abbiamo una generazione che è già a buon punto”
Come si è svolta la parte formativa?
“Come associazione Caracò abbiamo costruito un percorso durato sette giorni e che ha dato la possibilità ai ragazzi di confrontarsi, per cinque ore al giorno, con esperti del settore Cinema. Siamo partiti dalla parte tecnico organizzativa e produttiva, attraversando la sceneggiatura e la scrittura, per approdare all’uso della camera, degli obiettivi e a come stare sul set. Inizialmente doveva essere un cortometraggio orientato al docu-fiction, poi piano piano siamo arrivati a questa ultima versione più poetica e artistica. Ai ragazzi abbiamo dato la possibilità di confrontare diversi tipi di sceneggiatura, capire cosa è un pitch, un soggetto, poi abbiamo dato loro la possibilità di sperimentare e di scrivere”.
Ci racconti l’iter, dall’idea iniziale a quella di oggi?
“L’idea iniziale era quella di un road movie. Avevamo immaginato un rider che durante il lockdown attraversa Casteldebole e inizia a scoprirlo, non solo dal punto di vista geografico ma soprattutto umano. C’erano comparse, copratogonisti, battute. Proprio un lavoro da set. Poi abbiamo dovuto riadattare il progetto, orientandolo verso un lavoro molto più introspettivo ed esistenziale, di narrazione del territorio. Il punto di vista di un ragazzo rimane, ma attraversa una serie di luoghi in modo soggettivo. Puntiamo molto su temperature e colori che il territorio ci offre, dall’alba al tramonto. Lavoreremo più su un lavoro fotografico di qualità. Abbiamo deciso di fare questa scelta altrimenti, se stiamo dietro al Covid, non riusciamo a mettere un punto al lavoro”.
Cosa avete fatto emergere di questo territorio? Cosa volete far arrivare?
“La periferia non si può modificare, ma si può intervenire da un punto di vista sentimentale. Anche se le persone dicono che quel palazzone grigio è un palazzone grigio e asettico, i ragazzi stanno cercando di far capire che anche in quel grigiore e in quell’immobilità c’è della bellezza e della poesia, che si può andare oltre lo stereotipo di un luogo dove si torna solo per dormire e non c’è nulla. Anche nel nulla c’è qualcosa e i ragazzi vogliono raccontarlo. Questo punto di vista sentimentale ed emotivo emergerà molto di più in questa ultima versione che hanno scelto”
Una volta terminato, dove lo presenterete?
“L’idea è quella di organizzare un grande evento di presentazione nel quartiere e secondo me ce la possiamo fare in estate. Inoltre noi abbiamo un portale a sostegno della didattica che si chiama educativvù con oltre 500 classi abbonate in tutta Italia. Vorremmo ospitare il cortometraggio e mettere in contatto i ragazzi con le scuole in modo che possa presentarsi come strumento di buona pratica. Vorremmo fosse molto di più di un lavoro di fine percorso”.
Intervista di Silvia Santachiara