Un’installazione sonora replicabile in diversi luoghi della città attraverso cui ascoltare storie. Storie vere, in cui il racconto individuale diventa azione ed esperienza condivisa trasformandosi in un bene che diventa di tutti. Voci che riempiono lo spazio vuoto, esterno e interiore, e ci avvicinano in un periodo storico senza eguali.
Il progetto si chiama “Storie incrociate, ascolta la mia cultura!” e a proporlo è stato il gruppo Ares dell’Istituto Salesiano Beata Vergine di San Luca.
È una delle sei idee selezionate attraverso il Concorso di idee di Così Sarà, una call pubblica rivolta a ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 25 anni a cui sono state chieste delle idee creative per immaginare la città del futuro.
Incontro su Meet Monica Landi, 19 anni, una delle studentesse che ha ideato il progetto. Ha il sorriso delicato e una forte determinazione. Mi racconta che hanno scelto di raccontare storie attraverso l’audio per ricreare qualcosa che si avvicinasse all’esperienza teatrale. “Volevamo rendere gli spettatori partecipi, avvicinando le persone ma in sicurezza” mi dice.
Il progetto è sostenuto, come le altre idee selezionate, da un budget di 2.500 € e da una delle sei realtà teatrali che fanno parte di Così Sarà. Ad accompagnare e affiancare il gruppo Ares è Altre Velocità, che sarà il loro tutor e porterà i ragazzi a trasformare l’idea in realtà.
Accanto a Monica infatti, su Meet, c’è anche Alex Giuzio di Altre Velocità: “Questa idea ci ha subito conquistati per diversi aspetti, tra cui quello di raccogliere testimonianze e raccontare storie attraverso l’audio, una forma di racconto in cui crediamo molto”.
Monica, raccontaci l’idea.
“Si tratta di una installazione sonora che si realizza in un percorso composto da punti d’ascolto attraverso i quali si possono ascoltare storie e racconti incrociati tra loro”.
Da quali suggestioni è arrivata?
“L’idea è nata dalla volontà di realizzare un progetto che potesse unire le persone, in sicurezza, in un momento di difficoltà. Ci siamo ispirati ad un luogo e ad un gioco. Il luogo sarebbe il Voltone del Podestà di Bologna, in piazza Maggiore, con il gioco “il telefono senza fili”. Sotto al portico che attraversa Palazzo del Podestà e Palazzo Re Enzo, ci sono quattro angoli. Mettendosi in due agli angoli opposti si può parlare a bassa voce e riuscire lo stesso a sentirsi. Il gioco invece è quello dell’acqua, nato in Trentino al parco Giro d’Ali in Val di Fiemme, in cui i bambini interagiscono con l’acqua attraverso pulsanti collocati su una pedana ma senza sapere da che parte esce lo spruzzo”.
Perché avete scelto di lavorare sull’ascolto?
“Volevamo ricreare qualcosa che si avvicinasse all’esperienza teatrale, in modo da rendere lo spettatore partecipe, avvicinando le persone ma a distanza di sicurezza. Per questo abbiamo pensato ad un progetto vocale interattivo ma sicuro, rendendolo una sorta di gioco”.
Cosa vi manca più di ogni altra cosa?
“Il compagno di banco, il rapporto in presenza, quello sentimentale tra persone. La Dad è meccanica e tutti continuiamo a dire che vorremmo tornare a scuola”.
Come avete saputo di questo contest?
“La nostra professoressa di grafica l’ha accolto e inserito tra le attività didattiche. Ha diviso la classe in cinque gruppi, dando a ciascuno il brief”.
Come state lavorando insieme ad Altre Velocità, il vostro tutor, per trasformare l’idea in un progetto concreto?
“Ci stanno aiutando su vari fronti: i testi, le fonti, le piattaforme audio, come tenere partecipe lo spettatore, come realizzare i punti d’ascolto”.
Quali storie racconterete?
“Storie di viaggio: viaggio fisico, ma anche interiore, il viaggio di un migrante e molti altri. Il progetto si chiama storie incrociate e il nostro intento è quello di raccogliere tante storie legate al tema del viaggio, di incrociarle e legarle insieme da un filo rosso comune”.
Cosa stai imparando dalla condivisione con gli altri?
“A lavorare in gruppo, dividendo i compiti e rispettando le scadenze. Con Altre Velocità ho scoperto un mondo e che dietro il teatro c’è tantissimo lavoro, anche documentario. Un aspetto totalmente nuovo per noi grafici, su cui non ci eravamo mai soffermati”.
Qual è il tuo sogno?
“Ho una grande passione per il disegno e per i videogiochi. Mi piacerebbe studiare per diventare game designer. Questo è il sogno in cui credo e che vorrei perseguire”.
Alex Giuzio, perché avete scelto questo progetto e quale è il suo valore?
“Innanzitutto per l’idea di raccogliere testimonianze e di raccontare storie vere attraverso l’audio, una forma di racconto a cui siamo sempre stati affezionati, in cui crediamo molto e con cui lavoriamo da 15 anni. La voce riempie lo spazio e permette di lavorare molto con l’immaginazione. In secondo luogo il fatto che si tratta di un’idea replicabile, perché i punti d’ascolto potranno essere posizionati come installazioni in vari luoghi di Bologna ma anche in altre città. L’idea è molto forte”.
Come li affiancherete?
“Li affiancheremo a vari livelli. Innanzitutto nel raccogliere storie legate al tema del viaggio. Parlare di viaggio dopo un anno in cui non abbiamo potuto viaggiare ha un certo significato e avrà un effetto emotivo particolarmente forte. In secondo luogo li indirizzeremo su come si realizzano interviste, come farsi raccontare storie anche complesse e difficili, come costruire una drammaturgia. Poi registrazione e montaggio audio, la comunicazione del progetto, la scenografia, la realizzazione delle strutture che saranno i punti di ascolto, ma anche sotto l’aspetto di gestione e amministrazione del budget che hanno vinto”.
Qual è l’importanza di raccontare storie in un momento come quello che stiamo vivendo?
“È fondamentale. È un modo per far sentire la voce dell’altro che è diverso da noi, aiutandoci a ricordare che esistono storie di vite diverse, come per esempio i migranti e gli emarginati, per restare nel tema del viaggio”.
Cosa vi ha colpito maggiormente di questo gruppo?
“Sono tutti compagni di classe, il legame tra loro è molto forte e anche la passione che hanno nel realizzare la loro idea. Ci ha colpito anche l’idea di legare il progetto alla dinamica del gioco: un approccio non scontato, che predispone maggiormente all’ascolto”.
Intervista di Silvia Santachiara