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Scuola di Azioni Collettive

Scuola di Azioni Collettive, riparte la formazione pubblica. Intervista a Andrea Rapisardi e Antonio Damasco

Riparte la formazione pubblica della Scuola di Azioni COLLETTIVE con un programma di lezioni aperto a tutta la cittadinanza. Il primo appuntamento “Imprese di comunità e servizi di prossimità” è in programma martedì 19 ottobre, dalle 18 alle 20 da Offside Pescarola (via Francesco Zanardi 230/2)

Questo primo incontro è dedicato al tema delle cooperative di comunità e dei servizi di prossimità. In particolare, si discuterà dei progetti capaci di ascoltare e di affiancare le comunità locali, come metodo di lavoro per creare nuovi modelli di impresa che valorizzano la prossimità.

Ne parleranno con noi Andrea Rapisardi, Presidente della cooperativa LAMA di Firenze e Antonio Damasco, del progetto della Portineria di Comunità di Torino “Lo spaccio di cultura”.

Per partecipare è necessario iscriversi compilando questo modulo 

La formazione della scuola di azioni collettive continua poi fino al 16 novembre 2021, con altri tre incontri su imprese di comunità e servizi di prossimità, la comunicazione, il fundraising e la sostenibilità economica e la valutazione d’impatto, che si svolgeranno in presenza presso alcuni luoghi nei vari quartieri della città particolarmente simbolici per la vocazione al mutualismo e alla cura delle relazioni di prossimità.

Abbiamo raggiunto Andrea Rapisardi e Antonio Damasco per fargli qualche domanda in vista dell’incontro.

Perché costituire una cooperativa o un’impresa di comunità? Quali le motivazioni sociali e comunitarie?

Andrea: Solitamente le imprese di comunità nascono per: rispondere “insieme” ad un bisogno collettivo avendo l’obiettivo di massimizzare il benessere collettivo; rendere protagonista una comunità che si senta “intraprendente” e capace di valorizzare un “asset” dormiente; fare qualcosa che non è conveniente per un imprenditore classico (fallimento del mercato) e che non è gestibile dalla Pubblica Amministrazione (fallimento dello Stato).

Antonio: Questo periodo, in cui siamo ancora immersi, ci lascerà in eredità non più l’idea teorica ma tangibile e reale delle necessaria interconnessione. Costruire progetti co-progettati non sarà più una scelta, ma l’unica strada possibile per rispondere a bisogni, necessità e valorizzazione le competenze. Il modello partecipativo, tra le altre cose, permette di ragionare sin dal principio sui possibili criteri di sostenibilità.

Qual è il valore di un’impresa di questo tipo, sia per i cittadini che la animano che per il territorio?

Andrea: Le imprese di comunità riescono a generare valore economico e lavoro da un lato, coesione sociale e sviluppo territoriale dall’altro. Grazie a queste forme di impresa i cittadini possono ritrovare protagonismo e fiducia nella propria comunità e nel proprio territorio. Trattandosi di iniziative che per ovvie ragioni non sono promosse dal 100% della comunità ovviamente possono creare anche reazioni conflittuali da gestire. Sappiamo però, per le esperienze che continuano a nascere, che senza queste iniziative alcuni territori verrebbero pian piano abbandonati e che alcune comunità perderebbero gradualmente identità, coesione e capacità di resilienza.

Antonio: Un valore politico, dove si torna a parlare e partecipare in maniera diretta alla cosa pubblica, ma partendo dalle biografie di ognuno. Le narrazioni devono tornare a essere generative di relazioni e non storytelling fine a se stesso.

Andrea, quali sono i requisiti per intraprendere questa strada?

Le imprese di comunità nascono molto più spesso in contesti “vulnerabili” e in reazione ad uno “shock”. Nella maggior parte dei casi da questi shock e in questi contesti nascono imprese di comunità se: la collettività (o parte di essa) condivide un progetto comune volto alla massimizzazione del benessere comunitario (e non alla massimizzazione del profitto); è presente e accessibile un “asset” dormiente da valorizzare; è presente un gruppo promotore dinamico, coeso e motivato disposto a “tirare il carro”; la comunità, con il suo capitale umano, sociale e relazionale, è intesa come “fattore produttivo” strategico. Oppure si è in grado di costruire una partnership diffusa con cittadini, organizzazioni pubbliche e organizzazioni private (Public Private People Partnership).

Antonio, quali sono le esternalità positive del vostro progetto della Portineria di Comunità di Torino “Lo spaccio di cultura”, per il quartiere in cui opera e per la città di Torino? Cosa è cambiato con la portineria?

Oggi “Lo spaccio di cultura – Portineria” è un punto di riferimento sociale e culturale (se vogliamo usare ancora i due termini in maniera separata), un presidio che cuce relazioni e fratture, accoglie i conflitti e dialoga con tutti i servizi pubblici del territorio. Le fragilità dopo il Covid sono dentro ogni settore, non sono solo più delle singole persone. Questi luoghi hanno un ruolo fondamentale se si domandano quotidianamente il motivo della loro esistenza. L’esperienza torinese sta per essere replicata in altri territori disegnando una rete dei presidi leggeri.

Per partecipare all’incontro “Imprese di comunità e servizi di prossimità”, in programma martedì 19 ottobre, dalle 18 alle 20 da Offside Pescarola, è necessario iscriversi compilando questo modulo

Qui gli altri appuntamenti in programma.