“Questo è un progetto molto rischioso”.
Nicola Borghesi dice sempre qualcosa che non ti aspetti, si infila in una piega che non avevi considerato, ti mostra una visione altra.
Sono le 14 e nel grande cortile dove ci siamo incontrati non c’è più nessuno. Qualcuno, sentendoci, forse si sarebbe fatto più di una domanda: cosa ci facevamo, in una scuola, a parlare di affettività e di sesso? E se l’ho pensato io, e forse l’avreste pensato anche voi, è perché il tema è ancora scomodo. Difficile. Rischioso.
Si, rischioso. Ed è la parola che Borghesi, autore, regista, attore e fondatore della compagnia Kepler-452, ha ripetuto più volte durante i 60 minuti di intervista.
Oggi quel tema Kepler-452 lo sta portando tra gli adolescenti, rivolgendogli le stesse domande che nel 1963 Pier Paolo Pasolini ha posto agli italiani. In questi mesi tre squadre formate ognuna da un regista e due attori stanno cercando di ascoltare una voce difficile da intercettare, trascorrendo un periodo di residenza in due scuole medie superiori per portare ragazzi e ragazze a riflettere sulla propria relazione con la sfera sentimentale e sessuale e portare in scena l’esito della loro indagine.
È un progetto di teatro partecipato, si chiama Comizi d’amore #Adolescenti. E anche se sono passati sessant’anni da quando Pasolini attraversò l’Italia, da nord a sud, per indagare e cercare di capire come gli italiani vivevano il sesso e l’amore, tutto è ancora tremendamente attuale. Allora emersero tante contraddizioni e una certezza: non c’era nulla di più faticoso che parlare di sesso. E, forse, anche oggi, non è poi così diverso.
Il 19, 20 e 21 aprile il Liceo Classico Statale Minghetti e l’Istituto Aldini Valeriani diventeranno un luogo di incontro per persone che è difficile si incontrino: gli adulti e gli adolescenti. Due serate per chiedersi, collettivamente, di che cosa parliamo quando parliamo d’amore, di sessualità e di adolescenza.
Gli chiedo dove, secondo lui, oggi si parla d’amore. La risposta arriva diretta. “Da nessuna parte”. Secondo Borghesi il rischio è che quando emerge nel dibattito pubblico sia solo per stabilirne le regole che devono sancire i rapporti. “Ci chiediamo ad esempio se l’aborto deve essere o no legale, se gli omosessuali possano o no sposarsi, adottare. Rischiamo di dibattere solo dell’aspetto più esteriore della faccenda, ma farlo senza sondare invece la profondità a cui ci portano queste domande è chiaramente un rischio”.
E se d’amore e di sessualità non si parla da nessuna parte, Kepler-452 i luoghi se li va a cercare. Quelle domande senza tempo, attuali, inesauribili, le ha già portate infatti anche in altri contesti: un ospedale, una piazza universitaria, un residence per famiglie in emergenza abitativa, un istituto medio superiore. Il progetto ha conosciuto anche un affaccio internazionale con Comizi d’amore #Buenosaires e il format è stato realizzato anche presso il Teatro Calderon di Valladolid nell’ambito del festival internazionale MeetYou#2023.
Nicola, perché da tempo lavorate su quest’opera e perché ancora oggi è uno spunto di indagine?
Italo Calvino diceva che un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire. Dentro Comizi d’amore c’è qualcosa di inesauribile, non tanto nelle risposte agghiaccianti degli italiani quanto nelle domande: nello spirito speculativo di quelle domande e nel tipo di conversazioni che Pasolini riusciva a creare, nella loro insidiosità, nel loro mistero. E se le risposte a distanza di quasi sessant’anni possono cambiare, la bontà delle domande rimane invariata. È abbastanza commovente l’idea che quelle domande continuino ad essere così irrisolte e irrisolvibili.
Percorrendo la linea del tempo, cosa ci dicono?
Il confronto storico tra quelle risposte e quelle ottenute oggi nei diversi luoghi danno un brivido anche rispetto al concetto di tempo. Se vai in certi contesti oggi ricevi le stesse domande del 1963, se vai in altri contesti quelle risposte sembrano qualcosa di pazzescamente antico. Confrontarci con quelle domande è bello perché sono delle belle domande, perché ti offrono una prospettiva storica su chi siamo e dove stiamo andando e perché anche in questo titolo geniale, Comizi d’amore, che dà l’idea di intersezione tra politica e sentimenti, c’è qualcosa di potentissimo.
Spesso ci chiediamo come gli altri vivano le proprie relazioni, la coppia, il sesso. È insolito trovarsi a parlarne, soprattutto in pubblico, soprattutto nelle scuole superiori. Come parliamo oggi d’amore e dove si parla oggi d’amore?
Sappiamo poco dell’amore e della sessualità degli altri, figuriamoci di dove se ne parla. La mia impressione è che se ne parli davvero poco, è un aspetto della vita che fa parte di una sfera personale. C’è sempre il sospetto che sia inopportuno parlarne. Credo che mediamente se ne parli solo con i propri amici più intimi come fosse una cosa da tutelare dal mondo. Il rischio è che quando emerge nel dibattito pubblico sia solo per stabilirne le regole. Non c’è nessun posto deputato a parlarne.
Nemmeno sui social?
I social ci dicono moltissimo su come viviamo le relazioni, ma non è un luogo dove ne parliamo. Anche perché l’amore come sappiamo è fatto principalmente da sconfitte, anche quando va bene, e sui social è norma comunemente accettata che si parli dei propri successi. In fondo quando si parla d’amore si parla dei problemi dell’amore. Tutti noi parliamo d’amore quando c’è un problema, per cercare di venirne a capo. Quindi se ne parla con il partner e con le persone più strette. Ma di quanto sia difficile essere in due, di quanto sia difficile volersi bene, di quanto sia difficile fare sesso, non si può parlare mai. Nessuno dice pubblicamente volentieri quanto è in imbarazzo rispetto al proprio corpo, alla propria sessualità. E se lo si fa è una forma di rivendicazione di qualcosa, sicuramente legittima, ma è indubbio che esternare il disagio in quanto disagio e cercare di capire da dove venga, senza incolpare nessuno, è una cosa che non si fa praticamente da nessuna parte.
Di cosa, secondo te, ancora oggi proprio non si parla?
Delle nostre fantasie. La nostra esperienza dell’amore e della sessualità nel reale non esaurisce il serbatoio di desideri che stanno nel nostro inconscio, anche perchè la maggior parte delle cose che desideriamo tendono ad essere impresentabili. C’è un grande pudore, che non necessariamente è negativo. Sicuramente non ci sentiamo a nostro agio nel parlare delle nostre difficoltà e dei nostri fallimenti. C’è una domanda di Pasolini che risponde in parte a questa domanda: secondo lei il matrimonio esaurisce del tutto i problemi sessuali? Questa è una domanda a cui è difficile dare risposta e che ci mette molto in imbarazzo.
Cosa invece impatta, più di altro, sulla propria visione dell’amore e della sessualità?
La famiglia, la famiglia, la famiglia (sorride). Io sono un freudiano radicale quindi penso che quello che succede nei primi cinque anni di vita tende ad influenzarci in modo molto radicale. Oltre a questo sicuramente una maggior attenzione al linguaggio, che è emersa in tempi recenti, e almeno a Bologna il fatto che a scuola se ne parli, che sia un tema che esiste. E poi incide anche la classe sociale di appartenenza, ma anche in quale quartiere sei cresciuto, il lavoro che fanno i tuoi genitori.
Cosa sta emergendo da questo laboratorio?
Scuole diverse danno risposte molto diverse, sono mondi e pianeti diversi. Quello che emerge è che questa maggior quantità di parole per definirci e definire i nostri orientamenti sessuali non corrisponde necessariamente ad una maggior consapevolezza di chi si è.
Porterete in scena speranze e paure, i loro desideri, le loro libere associazioni rispetto al mondo dei sentimenti e della sessualità, impiegando un sistema che già avete sperimentato: far lavorare i giovani non professionisti con attori professionisti. Qual è l’aspetto più interessante di questo metodo?
La cosa avvincente sono sempre gli incontri imprevisti, che è il leitmotiv del nostro lavoro. Persone che non dovrebbero incontrarsi si ritrovano in scena insieme. Stare insieme in scena ti lega tanto perché la scena è un luogo pericoloso e quando si va insieme in un luogo pericoloso e si sopravvive si è fatta davvero un’esperienza insieme. Quello che mi aspetto è vivere insieme un rischio. È un rischio andare in scena insieme, è un rischio parlare d’amore, è un rischio parlare di sessualità ed è un rischio farlo con gli adolescenti. È un progetto tutto molto rischioso. Quello che mi aspetto è di aprirci gli uni agli altri e di dirci delle cose che di solito non ci si dice. E poi provare a dirle ad un gruppo più ampio di persone, quelle che verranno ad ascoltare.
Quale pensi che sia l’aspetto più difficile?
Trovare il modo per parlare con i ragazzi, ma prima o poi ci si riesce. Quello che è davvero difficile è andare oltre la superficie, trovare qualche corto circuito, uscire dalla zona di sicurezza. È chiaro che quando si cerca di parlare con qualcuno, questo cercherà di darti le sue opinioni solide, mentre le opinioni sono belle quando cominciano a sgretolarsi, quando rispondendo ad una domanda tu stesso ti accorgi di dire qualcosa che non ti aspettavi. E poi è difficile instaurare quel clima di fiducia sufficiente a seguirti in questa avventura, a fidarsi di te e poi a meritare quella fiducia.
A maggior ragione se il tema è questo e con questa fascia d’età…
Si, è una cosa delicatissima e la delicatezza è difficile da esercitare, non bisogna dimenticarsene mai. E non dimenticarsi una cosa, è sempre difficile.
Quale tra le domande che fece Pasolini credi sia più interessante da riproporre oggi, a 60 anni di distanza?
Ho la mia preferita, è facilissima questa domanda (sorride). È una ed è talmente bella da far venire i brividi: Il pensiero della vita sessuale, così a bruciapelo senza pensarci troppo, ti dà più un senso di felicità o di angoscia? Questa è una domanda che fa rimanere esterrefatti, a cui seguono solitamente le domande: felicità in che senso? cos’è la felicità? cos’è l’angoscia? Ed è una domanda che mostra la follia in cui viviamo, in cui deve andare sempre tutto bene.
Cosa hai imparato tu sull’amore?
Sull’amore non si impara mai niente. Però, in realtà, nella mia relazione ho imparato a mettere continuamente in discussione il fatto che stiamo bene, a non pensare mai che la coppia sia risolta e che si possa abbassare la guardia nella costante ricerca di comunicazione che la tiene in vita. Inoltre mi sono reso conto che esistono persone molto diverse da me, che affrontano la vita in modo molto diverso da me e che io non ho più ragione di loro. E questa è forse la parte più difficile. Persone diverse meritano lo stesso ascolto e lo stesso spazio di quelle che ti somigliano di più. Il mondo è enorme, le persone sono tantissime e ognuna è una miniera di cose da ascoltare, se le sai ascoltare e se riesci ad estrarre queste pepite dalla miniera dell’inconscio.
Perché hai scelto di fare teatro partecipato?
Amo il teatro ma soffro di claustrofobia. Stare chiuso in un teatro tutto il giorno mi annoia. Ci sono persone che lo sanno fare, li stimo e fanno un bel teatro anche loro. Ma io non ci riesco, mi sembra di non stare più comunicando con qualcuno, di non stare più facendo qualcosa per qualcuno, di essere solo. Credo che in questo tempo in cui il teatro è una realtà sempre più ripiegata e residuale, aspettarsi che sia la realtà ad entrare in una sala a guardare uno spettacolo credo sia rischioso. Penso piuttosto che il teatro abbia il dovere di sporcarsi le mani e dialogare con la realtà, prima che ci dimentichino del tutto.
Intervista di Silvia Santachiara
Il PROGRAMMA
Comizi d’amore #AldiniValeriani Sembra che il mondo stia cadendo – Un talk show
via Sario Bassanelli 9/11
mercoledì 19 aprile alle 20.30 e giovedì 20 aprile alle 20.30
A cura di Alessandro Berti, Francesco Maruccia, Matilde Vigna e gli studenti e le studentesse dell’Istituto Aldini Valeriani
Comizi d’amore #Minghetti Abbiamo finito i buoni sentimenti – Non ne abbiamo mai avuti
via Nazario Sauro 18
mercoledì 19 aprile alle 18 e alle 21 e venerdì 21 aprile alle 18 e alle 21
Regia di Niccolo Fettarappa con Nicola Borghesi e Maria Chiara Arrighini e un gruppo di studenti del Liceo Classico Minghetti