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Scuola di Azioni Collettive

Scuola di Azioni Collettive, la formazione pubblica. Intervista a Corinne Reier (Action Aid Italia)

Parte la formazione pubblica della Scuola di Azioni COLLETTIVE con un programma di lezioni aperto a tutta la cittadinanza. Il primo appuntamento “Le sfide organizzative dal volontariato all’attivismo” della docente Corinne Reier, Action Aid Italia, è in programma martedì 8 giugno dalle 15 alle 17 da Dumbo (Via Camillo Casarini, 19).

Esperta in mobilitazione di attivisti e volontari, si occupa di rendere le organizzazioni più efficaci e inclusive attraverso l’utilizzo di strumenti che aumentano la collaborazione ispirandosi ai principi femministi.

Per partecipare è necessario iscriversi compilando questo modulo.

Questo appuntamento apre l’evento di presentazione di Bologna Attiva che si svolge a DUMBO dalle 15 alle 20 e che prevede anche altri momenti di approfondimento, laboratori e performance.

Abbiamo raggiunto Corinne Reier per farle qualche domanda in vista dell’incontro.

Dal volontariato all’attivismo: quali sono le principali differenze e quali le nuove sfide per le organizzazioni del terzo settore? 

Moltissime organizzazioni, dalle più grandi alle più piccole, coinvolgono nel loro lavoro attivist* e/o volontar*. A volte questi termini vengono usati come sinonimi, anche se ci sono notevoli differenze tra l’essere volontario e l’essere attivista.

Nella visione di ActionAid l’attivista è quella persona che si attiva e mobilita all’interno della propria comunità (sia locale che globale) con l’obiettivo di realizzare il cambiamento attraverso la propria partecipazione e cittadinanza attiva. Il “lavoro” dell’attivista è strettamente politico, seppur non necessariamente partitico, e si fonda su un’attenta analisi del proprio contesto e delle disuguaglianze e dinamiche di potere che lo attraversano coinvolgendo l’intera comunità di riferimento. Per ActionAid il volontariato rimanda invece a delle dinamiche più top-down in cui la persona segue e supporta pezzi specifici del lavoro dell’organizzazione senza necessariamente contribuire a influenzarne la strategia più ampia.

Integrare una forte dinamica di attivismo nel proprio intervento può rappresentare una grande ricchezza e valore aggiunto ma pone certamente anche delle sfide: in particolare per le organizzazioni più grandi e strutturate è indispensabile dotarsi di momenti di confronto, scambio e decisione periodici per non rischiare di escludere la componente di attivismo dalle decisioni strategiche e per evitare che la loro partecipazione alle scelte dell’associazione rimanga nella realtà solo sulla carta. Un’altra grande sfida è data dalla maggiore mobilità delle persone, in particolare le più giovani, che in alcuni casi non consente una continuità territoriale nel tempo e pone la sfida del ricambio generazionale. Sono inoltre anche cambiate le modalità e forme di attivazione, in particolare delle giovani generazioni, con una maggiore spinta all’azione individuale e al supporto a cause specifiche piuttosto che organizzazioni o associazioni.

Quali strumenti si possono adottare all’interno delle organizzazioni per costruire relazioni efficaci e inclusive? 

Per costruire relazioni efficaci e inclusive sia tra staff e attivist* che all’interno del network di attivist*, come ActionAid abbiamo elaborato un approccio che:

  • Metta al centro le persone, ossia sia People Powered.
  • Metta al centro le giovani generazioni, ossia sia Youth-Led
  • Sia consapevole degli squilibri di potere e delle discriminazioni all’interno del network di attivist* così come nelle nostre comunità secondo un approccio femminista intersezionale
  • Sviluppi relazioni basate sui principi di leadership femminista

Un elemento chiave per noi è la cura delle relazioni: incontrarsi, parlare, confrontarsi, discutere e anche divertirsi insieme fanno la differenza all’interno di un gruppo di attivist*!

Uno degli aspetti chiave è sicuramente prevedere dei momenti periodici di confronto e interazione fissi, come ad esempio assemblee o workshop. Nella quotidianità può essere molto utile dotarsi di strumenti di interazione digitali come gruppi, chat o community online: importante però definire gli obiettivi di questi strumenti e come usarli, dotandosi per esempio di alcune regole comuni. Nel caso di organizzazioni o network grandi può essere utile dividersi in gruppi di lavoro fissi oltre ai momenti di confronto collettivo. Cura delle relazioni è però anche acquisire consapevolezza dei propri privilegi e instaurare rapporti di potere più equi e inclusivi, decostruire i nostri stereotipi e metterci in gioco ascoltando l’altr* senza pregiudizio.

Che cos’è la feminist leadership e quale cambiamento può portare nelle organizzazioni? 

Innanzitutto, leadership femminista non è leadership femminile. L’obiettivo non è infatti spingere acriticamente per donne* nelle posizioni di potere e leadership ma mettere in campo una riflessione incentrata sulle dinamiche di potere e su come incidono su ognun* di noi. Un approccio incentrato sulla feminist leadership vuole creare uno spazio sicuro per tutt* instaurando processi più equi, democratici, inclusivi e trasparenti all’interno dei nostri gruppi e delle nostre associazioni oltre a una diversa concezione del potere (non individuale ma collettivo) e della leadership (non accentrata nelle mani di poch* ma diffusa). Integrare la feminist leadership nel proprio lavoro quotidiano è sicuramente una grande sfida e richiede una profonda messa in discussione delle pratiche che agiamo ma anche di noi stess*, delle nostre convinzioni ed esperienze. Da un punto di vista teorico, in particolare a livello internazionale, ci sono molti spunti interessanti a cui fare riferimento, come per esempio il lavoro della studiosa e attivista Srilatha Batliwala o di organizzazioni come JASS (Just Associates).

Anche in ActionAid, che lavora ogni giorno per cambiare il mondo, lottando per ottenere giustizia sociale e parità di genere, abbiamo adottato 10 principi di leadership femminista che guidano l’organizzazione nel realizzare nuove forme di leadership che siano inclusive, coraggiose e a tolleranza zero verso ogni forma di discriminazione. Perché vogliamo cambiare il mondo a partire da noi!

Guardando alle esperienze di attivismo e volontariato da un punto di vista generazionale, quali sono i punti di forza delle esperienze tradizionali e delle nuove mobilitazioni giovanili?

Il modo ma anche le ragioni per cui attivarsi si sono radicalmente modificate negli ultimi anni. Le organizzazioni sociali tradizionali (sindacati, partiti etc) non rispondono più ai bisogni di politicizzazione dei e delle giovani che sono alla ricerca di forme di partecipazione più orizzontali, inclusive e fluide.

Si è modificato anche il modo di intendere l’identità individuale e quella collettiva e l’individualizzazione a cui stiamo assistendo non equivale a depoliticizzazione: i/le giovani sono più attratt* da forme di partecipazione meno respingenti nei confronti delle identità individuali rispetto alle ideologie tradizionali del ‘900, stabilendo un diverso rapporto tra identità individuale e collettiva. I/le giovani sono attratt* da azioni più pragmatiche e concrete e meno ideologiche rispetto al passato: non è tanto l’organizzazione o il gruppo a spingerli a mobilitarsi quanto la causa specifica.

Un elemento chiave che ha portato a questi cambiamenti è come i/le giovani si percepiscono all’interno della società: mai come ora le giovani generazioni sentono di non avere un ruolo determinante in politica e si considerano poco preparati, poco informati e poco in grado di agire. Nonostante i/le giovani si considerino la generazione precaria, quella che ha pagato la crisi, la narrazione della generazione apatica, distaccata e disinteressate viene smentita da numerose ricerche quantitative e qualitative che sottolineano una forte tendenza all’attivazione e alla partecipazione. sembrano avere particolare successo quelle proposte di mobilitazione e attivismo quelle che sono in grado di offrire ai/le giovani meccanismi di attivazione a bassa soglia d’ingresso, modulari e adattabili rispetto alle individualità di ognun*. Materialità, territorialità e accessibilità sembrano essere al momento le caratteristiche principali dei processi di attivazione giovanile maggiormente capaci di aggregare. Resta aperta, sullo sfondo, la sfida di costruire su queste basi in termini di processi sociali e culturali di lungo periodo (Zamponi, 2019).

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